Le conseguenze della
pandemia stanno condizionando le
modalità di comportamento dei vari soggetti economici e tra le tendenze che si
registrano vi sono quelle relative ad un utilizzo sempre più frequente dei
servizi on-line per l’acquisto di beni e servizi.
L’aumento dei contratti
conclusi via web non riguarda, però, solo i consumatori che ricercano comparazione
dei prezzi e facilità di conclusione nella stipulazione di contratti, ma anche
le imprese, per l’esigenza di intensificare i rapporti commerciali anche con
l’estero.
Quindi, la tutela sul web
si dovrà basare sulla salvaguardia del principio di buona fede, in quanto solo
con la fiducia si potrà assistere ad un aumento dei traffici e delle
transazioni.
La normativa prevede
tutele stringenti in via di evoluzione per quanto riguarda il Consumatore
(basta leggere la Nuova Agenda del Consumatori 2020-2025 presentata dalla
Commissione UE il 13.11.2020). Per quanto riguarda, invece, le transazioni tra
imprese si parte dal presupposto che queste abbiano competenze interne o che si
avvalgano di esperti, dato che la posizione è considerata paritetica.
E’ bene sottolineare che
via web, a fronte di ipotesi minime in cui le trattative vengono portate avanti
dai soggetti contrattuali anche telematicamente addivenendo alla stipulazione
di un contratto condiviso in ogni sua parte, quasi sempre il grosso delle transazioni
avviene attraverso accettazione di modelli standard, predefiniti da una delle
parti ed accettati dall’altra.
Si tratta, quindi, di
contratti che non sono negoziati, in quanto spesso manca la fase delle
trattative.
In questi contratti di
fornitura di beni e servizi, quindi, le clausole vengono predisposte da una
sola parte e l’altra non potrà che accettare o rifiutare.
Le conseguenze saranno
diverse a seconda che il contratto sia stato stipulato tra un consumatore ed un
imprenditore (B2C business to consumer) o tra un imprenditore ed un altro
imprenditore (B2B business to business).
Ai contratti tra
imprenditori (B2B) si applicherà l’art. 1341 c.c. per cui è onere di chi
accetta le clausole di attivarsi per conoscerle e comprenderle, mentre l’altra
parte, che le ha predisposte, basta che le abbia rese conoscibili; basterà in
altre parole la conoscibilità astratta. Inoltre, per l’efficacia delle clausole
vessatorie, tassativamente indicate al secondo comma dell’art. 1341, basterà
che la parte accettante le abbia approvate separatamente anche in blocco con un
solo click.
Tra queste ricordo ad
esempio la facoltà di recedere dal contratto della parte che le ha predisposte
o quella che sancisce a carico dell’altra parte decadenze o limitazioni ad
opporre eccezioni
Per quanto riguarda
invece le clausole relative ai contratti tra consumatori ed imprenditori (B2C) queste
saranno regolate dall’art. 33 del Codice del Consumo che prevede una lista
aperta di clausole vessatorie, dato che sono considerate vessatorie
(pregiudizievoli) “tutte le clausole che, malgrado la buona fede,
determinato a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e
degli obblighi derivanti dal contratto”. Nell’art. 33 del Codice del
Consumo vengono poi enumerate delle clausole considerate vessatorie, ma che
possono venire accettate dal consumatore. Ve ne sono poi altre che non
entreranno mai a far parte del rapporto contrattuale a prescindere da
un’eventuale accettazione.
Le prime dovranno
comunque essere conosciute dal consumatore e la conoscenza dovrà essere
effettiva e graverà sull’imprenditore (in caso di conflitto) la dimostrazione
dell’esistenza delle trattative e l’accettazione consapevole delle clausole da
parte del consumatore (art. 34 Codice del Consumo). Tra queste si ricordano la
facoltà di recesso riconosciuta solo all’imprenditore e non al consumatore o
quella di stabilire un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza
del contratto per comunicare la disdetta al fine di evitare la tacita proroga o
la rinnovazione.
Le seconde, invece,
saranno sempre nulle (art. 36 C.C.) e sono:
a)
l’esclusione o la limitazione della
responsabilità del professionista in caso di morte o danni fisici al
consumatore;
b)
l’esclusione o la limitazione delle azioni
del consumatore in caso di inadempimento del professionista;
c)
l’estensione dell’adesione del consumatore
a clausole che non ha potuto conoscere.
Il
problema, come detto sopra, è che spesso i contratti telematici riguardano
parti che risiedono o hanno sede in paesi diversi.
In
caso di conflitto, allora, quale sarà il diritto applicabile alla fattispecie
concreta?
Quale
sarà l’organo giurisdizionale designato a dirimere la controversia?
In
assenza di una scelta contrattuale preliminare circa questi due elementi, l’individuazione
delle norme applicabili e dell’autorità competente è rimessa alle norme di
diritto internazionale privato.
In
tema di obbligazioni contrattuali gioca un ruolo primario il Regolamento CE 593/2008
o Regolamento Roma I.
Detto
Regolamento prevede una norma di grande importanza, che è l’art. 2, circa il
carattere universale della normativa: <<La legge designata dal
presente regolamento si applica anche ove non sia quella di uno stato membro>>.
Quindi,
ad esempio, se prendiamo il caso della Gran Bretagna, si potrà dire che la
Brexit non abbia inciso sull’operatività del Regolamento di cui sopra salvo
alcune eccezioni, come ad esempio l’art. 3 comma 4 del Regolamento 593/2008,
che prende in considerazione il caso in cui tutti gli elementi fondamentali di
un contratto siano ubicati in uno Stato membro che prevede norme inderogabili.
La norma recita che queste dovranno, comunque, avere effetto a prescindere
dalla scelta operata dalle parti contraenti. Evidentemente questa norma sarà
diversamente applicata nei contratti conclusi con un contraente avente sede o
residenza in Gran Bretagna a seconda che la scelta sia stata compiuta prima o
dopo il 31/12/2020, dato che questa è la data prevista dall’accordo di recesso della
Gran Bretagna, che è, comunque, rimasta
vincolata al diritto dell’Unione fino al 31/12/2020, anche se ha perso la
qualifica di Stato Membro dell’UE il 20/02/2020.
Sulla
base del Regolamento 593/2008 il criterio primario, come detto sopra, rimane
quello della volontà delle parti, ma nel caso in cui le parti non abbiano fatto
delle scelte, circa il diritto applicabile o l’Autorità chiamata a dirimere le
controversie, sopperiranno i criteri previsti dal Regolamento stesso. Ad
esempio il contratto di vendita di beni è disciplinato dalla legge del paese
del venditore mentre il contratto di prestazione di servizi è disciplinato
dalla legge del paese nel quale il prestatore di servizi ha la residenza
abituale.
Le
regole dettate dal Regolamento Roma I varranno anche per i contratti che si
perfezionano su internet, inoltre detto regolamento prevede una tutela
particolare per i consumatori, definiti
persone fisiche che stipulano per un uso estraneo alla loro attività
commerciale e professionale con soggetti che agiscono nell’esercizio delle loro
attività commerciale e professionale. In questo caso il contratto sarà
disciplinato dalla legge del paese nel quale il consumatore ha la residenza
abituale a condizione che il professionista svolga e diriga la sua attività nel
paese in cui il consumatore ha la residenza ed il contratto rientri
nell’oggetto della sua attività imprenditoriale. Detta norma si applicherà
anche nel caso in cui le parti abbiano fatto la scelta di optare per
l’applicazione di un’altra normativa, se questa priva il consumatore della
protezione di cui avrebbe altrimenti goduto applicando la normativa del proprio
paese.
Per
quanto riguarda i contratti conclusi tra imprenditori (c.d.contratti B2B) oltre
ad applicare il Regolamento di cui sopra si potrà applicare anche tutta la
normativa adottata dalla Commissione delle Nazioni Unite per il Diritto
Commerciale Internazionale (UNCITRAL o United Nations Commission on International
Trade Law) creata con risoluzione 2205 il 17/12/1966 dall’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite al fine di addivenire alla graduale armonizzazione del
diritto commerciale internazionale.
Ad
esempio, per la vendita internazionale il testo da applicare sarà la CISG (United
Nations Convention on Contracts for the International Sale of Goods) che è
appunto la convenzione delle Nazioni Unite sui Contratti di Vendita
Internazionale di Beni Mobili e si applica alla vendita internazionale di beni qualora le parti del contratto
abbiano la propria sede d’affari in Stati contraenti, ovvero qualora le regole
di diritto internazionale privato indentifichino il diritto di uno Stato
contraente come applicabile al contratto.
Queste
brevi note solo per sottolineare quanto sia articolata la materia, che comunque
presenta un faro che è rappresentato dall’autonomia contrattuale, che rimane la
scelta cardine in tutta la normativa, dato che con la possibilità di incidere
sulle clausole contrattuali a priori si evitano dubbi e incomprensioni.
Nel
caso in cui, quindi, detta scelta non venga adottata, mentre il consumatore
potrà vantare norme a sua tutela a valle, l’imprenditore si presume esperto e,
quindi, munito di competenze interne o di consulenza ad hoc.